
L’ammasso di ghiaccio e roccia era ancora avvolto nel buio quando l’11 settembre 1909 qualcuno riuscì a fotografarlo per primo, per la prima volta.§ Era un macigno enorme largo una decina di chilometri, ma in quella foto appariva come un punto chiaro su sfondo scuro; nulla di più.
Nelle settimane e nei mesi successivi il numero di fotografi e di osservatori aumentò, e in giro per il mondo si cominciò a parlare del giorno in cui tutti, finalmente, lo avrebbero visto senza usare nient’altro che gli occhi.§ Alcuni, i più anziani, dissero di aver già vissuto tutta quell’attesa. Gli scrittori cominciarono a sognare, qualcuno cominciò ad annotare idee, uno di essi a contare i giorni che gli rimanevano da vivere.§
Nelle settimane e nei mesi successivi il grande ammasso di ghiaccio e roccia continuò a respingere la luce che lo raggiungeva e lo colpiva. Ma quella, la luce, era sempre di più, sempre più forte sul ghiaccio e lo rendeva evidente agli occhi di chi lo cercava nel buio profondo. Il tocco caldo della luce provocò le prime crepe sulla superficie. Le crepe diventarono spaccature e poi crepacci che si aprivano improvvisi spaccando la roccia. Schegge, frammenti e granelli di polvere si staccavano, schizzando e volando intorno. Ci sarebbero stati schiocchi, rombi, scricchiolii e il sibilare del ghiaccio vaporizzato che spruzzava dalle fessure: ma lo sconvolgimento che la luce, da sola, stava provocando su quei dieci chilometri di massa solida avveniva nel silenzio totale del vuoto. L’enorme macigno perdeva pezzi di sé: polveri e ghiaccio tramutato in gas dal tocco della luce. Ciò che perdeva restava indietro, sospeso, e diventava una scia luminosa e splendente.
La trasformazione era sconvolgente e magnifica. La luce illuminava, colpiva, scaldava, vaporizzava, e innescava reazioni chimiche. Gas e minuscole particelle ghiacciate sollevate dalla superficie avvolgevano tutto il macigno in una fredda, temporanea, candida atmosfera. Era uno spettacolo, ma non ancora per gli occhi di tutti.
Fra coloro che erano in grado di vederlo, ci fu chi si limitò ad osservarne la metamorfosi. Ma alcuni studiarono il fenomeno nella sua evoluzione e altri lessero informazioni nella luce riflessa. I primi calcolarono che la lunghissima scia di gas e polveri avrebbe investito il mondo intero; tutti, anche chi avesse deciso che il macigno non voleva neppure guardarlo. I secondi scoprirono che fra i gas che formavano la scia ce n’era uno particolare, di cui si conoscevano alcune caratteristiche. Era un gas incolore, profumava di mandorle amare ed era tossico, mortale.
Il grande macigno di roccia e ghiaccio arrivava dal buio, dal freddo, dal vuoto. Cadeva verso la luce. Tornava a portare stupore e meraviglia, rivestito di candore e con uno strascico splendente. Perdeva pezzi e si trasformava. Diventava finalmente visibile agli occhi. Questa volta però, oltre a stupore e meraviglia, avrebbe portato apprensione, paura e anche terrore. Avrebbe lasciato qualcosa di più che un ricordo.
La lunga scia gassosa avrebbe investito il mondo per alcune ore il 19 maggio 1910: avrebbe sfiorato le palpebre di tutti quegli occhi rivolti verso l’alto. Avrebbe dato una sottile, leggera carezza velenosa. Qualcosa di oscuro e invisibile iniziò a serpeggiare fra gli animi.
Alcuni credettero che il gas che profumava di mandorle li avrebbe uccisi, qualcuno parlò di fine del mondo e in molti presero quelle parole sul serio. Altri capirono che la paura porta ricchezza e vendettero pillole e maschere antigas, per sopravvivere alla sostanza invisibile che veniva da lontano.§
Il 19 maggio arrivò e trascorse. Protetti dall’aria che respiravano ogni giorno, gli abitanti di tutte le nazioni, consapevoli o meno di quell’evento, passarono attraverso una scia gassosa rarefatta in cui era diluita qualche solitaria, innocua molecola di veleno. Nessuno morì per questo e la paura svanì.
Nei mesi e anni che seguirono, il macigno viaggiante tornò ad essere un punto nell’oscurità: il ghiaccio in superficie abbracciò di nuovo saldamente la roccia, lo strascico splendente andò spegnendosi a poco a poco. Si fece sempre più piccolo e remoto fino a quando nessuno riuscì più a vederlo nel buio profondo. Anche coloro che avevano temuto di morire, presto non pensarono più al gas velenoso.
Nessuno però si rese conto che ciò che aveva iniziato a serpeggiare fra gli animi era rimasto. Era forse un altro tipo di veleno o un morbo. Non aveva nome e non esisterà mai uno strumento in grado di rilevarlo. Non avvelenava il corpo. Colpì solo alcuni, pochi in tutto il mondo. Iniettò un’oscurità aliena che formava voragini nell’immaginazione, nei sogni e nelle fantasie. Alcuni vi si affacciarono e impazzirono. Altri si salvarono attraverso l’arte. Certi scrittori si misero in salvo così: crearono opere intrise dell’orrore di ciò che è ignoto e immenso, incomprensibile e senza tempo.§ Quelle opere diffusero il contagio. Il veleno oscuro intaccò altri animi, si propagò e sopravvisse di generazione in generazione. Andò diluendosi nel tempo ma senza mai sparire.
Quel veleno è presente tuttora nell’animo di chiunque provi smarrimento, disagio o addirittura vertigine, fissando certe zone del cielo, di notte. Quelle più scure e prive di stelle.