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Apprensione

Non avevamo notizie di W da cinque settimane, così decidemmo di fargli visita. Gli scalini dell’ingresso principale erano ricoperti di foglie secche, un rametto s’impigliò nell’orlo dei miei pantaloni. Me ne liberai a fatica e diedi tre colpi di battente alla porta. Attendemmo un paio di minuti, diedi altri tre colpi e poco dopo H suonò il campanello. Nessuna risposta. Possibile che la servitù non avesse sentito bussare? Avevano forse la giornata libera? O temevano di accoglierci?
J afferrò il pomello della porta, uno scatto secco e ci trovammo all’interno. Mi sentivo un ladro, schiarii la voce per annunciare la nostra presenza.
«Salve W… siamo F, H e J.»
«C’è nessuno in casa?»
«Oilà!»
Sembrava che tutto fosse in ordine, per il momento.
Ci dividemmo: io al piano inferiore, H nel seminterrato e J al piano di sopra. Nella sala da pranzo la tavola era apparecchiata per quattro persone, le posate d’argento e i bicchieri di cristallo in bella vista sulla tovaglia ricamata. Dal salotto proveniva il ticchettare dell’orologio posto sul ripiano del camino, gli scaffali della libreria mostravano un leggero strato di polvere. Nulla di rilevante in cucina, nel ripostiglio e nel bagno di servizio. Lo stesso per le due camere riservate al maggiordomo e alla cuoca.
«Trovato niente?»
«No,» rispose J dalla cima delle scale, «le camere sono intonse. Anche il bagno.»
H mi raggiunse scuotendo il capo.
«Qualche ragnatela e delle vecchie casse.»
«Santo cielo,» dissi, «cosa può essere accaduto?»
«Non darti pena, F» mi rassicurò H, «casi del genere danno parecchio da pensare. Meglio farlo davanti a un goccio di brandy.»
H entrò nel salotto, si diresse al carrello degli alcolici e versò da bere in tre bicchieri a tulipano.
Me ne porse uno, fece un brindisi e mandò giù tutto in un fiato.
Odorai la fragranza emanata quando trasalii al tocco di una mano sulla spalla sinistra.
«Facciamo una pausa?»
J bevve un piccolo sorso dal bicchiere preparato da H.
«Si tratta bene il nostro W,» commentò passandosi la lingua sulle labbra.
«Vi ricordo che stiamo cercando una persona,» dissi infastidito dal loro atteggiamento, «forse è il caso di posare i bicchieri e recarci al distretto di polizia più vicino.»
«Suvvia F, ci stiamo preoccupando per niente. Non potrebbe trattarsi di uno scherzo?»
«O di una sorpresa,» aggiunse H, «mi pare che ci siano quattro coperti in sala da pranzo.»
«Potrebbe darsi, ma allora perché lasciare la casa incustodita?»
«Su questo do ragione a F,» disse J, «tuttavia W è sempre stato un tipo…»
«Bizzarro?»
«Mi hai tolto le parole di bocca, caro H.»
Mi sedetti sulla poltrona di fronte il camino e cominciai a ponderare sull’assurdità della situazione. H e J si concessero un altro goccio di brandy, apprezzandone l’aroma e il colore. L’ultima volta in cui avevamo visto W era stato al circolo di P, verso la fine di novembre: si era divertito a raccontare della sua corrispondenza con Miss L, un’insegnante conosciuta durante un viaggio in treno. La ragazza non aveva esitato a lasciargli il suo recapito prima di scendere alla fermata che li avrebbe separati. Non per molto, suggerivano alcuni. Si scrivevano un paio di lettere alla settimana e, a sentire alcuni passaggi declamati dall’istrionico W, pareva che Cupido avesse trafitto il cuore della giovinetta. Dopo una partita a carte e un bicchierino della staffa, allo scoccare delle sette — o forse erano le otto? — W aveva porto i suoi saluti con la promessa di raccontare nuovi dettagli epistolari. Da allora non lo vedemmo più, ed era strano che un tipo della sua risma rinunciasse anche a una visita breve per porgere i più sentiti auguri di un felice Natale e un prospero anno nuovo. Aveva perso i genitori all’età di undici anni, non aveva fratelli né sorelle e tanto meno lontani parenti. Il nostro circolo era la sua famiglia adottiva. Cosa mai avrebbe potuto trattenerlo? Una missione diplomatica della massima riservatezza? Una brutta malattia? Un tracollo finanziario? J si lasciò scappare un singhiozzo, interrompendo il flusso dei miei pensieri.
«Abbiate almeno la decenza di porre i bicchieri nell’acquaio, quando avrete finito.»

Trascorse un’ora. Di comune accordo decidemmo di rivolgerci al distretto di polizia per denunciare la scomparsa di W. Non eravamo giunti a una conclusione logica, avevamo considerato e scartato un’ipotesi dietro l’altra; meglio lasciare il caso alle autorità competenti. H portò i bicchieri in cucina e li pose nell’acquaio, io sistemai la poltrona dove mi ero accomodato. La porta dell’ingresso si aprì di schianto, ci voltammo e trasalimmo alla vista del padrone di casa.
W aveva un fisico robusto e un paio di baffi a manubrio molto curati. La persona che stava sulla soglia, invece, aveva il volto scavato, la corporatura esile e una barba cosparsa di peli bianchi e neri. Indossava un completo logoro di tre taglie più grande, sembrava essere scampato a un’aggressione. Se non fosse stato per la medaglietta del nostro circolo appuntata sulla giacca, non lo avremmo riconosciuto.
«In nome di Dio,» gridai, «cosa vi è successo?»
W farfugliò qualcosa e rovinò a terra.
J si chinò su di lui e lo sollevò per le braccia, mentre H chiudeva la porta per non destare l’attenzione dei passanti. Salimmo in camera sua e lo stendemmo sul letto. Gli togliemmo gli abiti di dosso e lo infilammo sotto le coperte augurandoci che riprendesse conoscenza.
J scese al piano di sotto, compose il numero del dottor V e lo pregò di raggiungerci al più presto. Io e H vegliavamo su W, che ansimava pronunciando parole incomprensibili.
Non si trattava di uno scherzo o una sorpresa.

Il dottore ripose lo stetoscopio dentro la valigetta di pelle, si pulì gli occhiali con una pezzuola e ci rivolse uno sguardo severo.
«Riposo assoluto per i prossimi dieci giorni. Deve essere accudito e nutrito come si trattasse di un infante. Lascio questo flacone di pillole sul comodino: una al mattino e due alla sera. Tornerò fra dieci giorni.»
Io e H annuimmo in silenzio, ringraziammo V per la cortesia e lo accompagnammo alla porta.
J salutò il dottore con una vigorosa stretta di mano e poi mi condusse in disparte.
«Sono riuscito a contattare la servitù. Dicono di essere stati licenziati ai primi di dicembre.»
«E come mai?»
«Pare che W desiderasse essere lasciato solo.»
«Non hanno aggiunto altro?»
«Non sembravano disposti a parlarne.»
Bussarono alla porta, pensammo che fosse il dottor V. J aprì la porta e sgranò gli occhi. Fasciata in un abito grigio, un paio di guanti bianchi a coprire le piccole mani dalle dita affusolate, la ragazza chiese di W. Imbarazzati la conducemmo nella camera e H condivise il nostro sentimento alla vista di quella inaspettata presenza.
La giovane donna si sedette sul fianco del letto, carezzando la barba ispida e la fronte corrugata di W. Cominciò a sussurrargli strane parole che pensavo di avere colto in precedenza. J fece cenno che avremmo fatto meglio a togliere il disturbo, ma la ragazza insistette per trattenerci ancora qualche minuto. Nonostante l’infelice circostanza avemmo il piacere di conoscere Miss L, la giovane corrispondente del nostro W. Aveva una voce deliziosa, occhi neri e vispi, capelli castani raccolti in uno chignon. Notai due piccoli nei — uno sulla punta del mento e un altro vicino il labbro inferiore — che la rendevano ancora più graziosa. Le spiegammo nel dettaglio tutta la faccenda, ella ci assicurò di assumersi ogni responsabilità nei confronti del poveretto — parole sue — e che avrebbe ricevuto il dottor V nei prossimi giorni. Salutammo con una punta di commozione e rincasammo a cuor leggero, sapendo W in buone mani.

Erano passate all’incirca tre settimane quando J irruppe nella sala da gioco del circolo.
«Il dottor V non è stato ricevuto.»
Io e H abbandonammo il tavolo verde e salimmo sulla sua vettura.
Dieci minuti dopo bussavo disperato alla porta, H e J gridavano i nomi di W e Miss L, finché un agente chiese conto del baccano che stavamo facendo. L’ingresso principale era chiuso a chiave, ci recammo sul retro e J si avventò sull’uscita posteriore. L’agente pregò di darci una calmata, H lo afferrò per un braccio e gli disse di chiamare i rinforzi. Tutti e tre cominciammo a dare spallate alla porta di legno scheggiato, riuscimmo a forzarla e cademmo insieme sul pavimento della cucina. Ci rialzammo schiumanti di rabbia e corremmo lungo la sala da pranzo. Con la coda dell’occhio notai che le posate e i bicchieri erano rimasti al loro posto. Afferrammo il corrimano e salimmo i gradini due alla volta. A metà del percorso H scivolò battendo la nuca contro la parete. J urtò contro la porta della camera da letto, un rivolo di sangue scese copioso dalla sommità della fronte. Io afferrai la maniglia e per poco non me la ritrovai in mano. H ci raggiunse e mollò un calcio procurandosi un crampo, io e J riprendemmo a dare spallate. I folli sforzi vennero compensati dal cedimento della serratura.
La stanza era in penombra. Un fetore ficcante aleggiava per la camera e, trattenendo il vomito con entrambe le mani sulla bocca, corsi ad aprire le pesanti tende alle finestre. Lo spettacolo che ci venne offerto sbiancò i nostri volti: quel che rimaneva di W giaceva sul letto tra lembi di pelle cascante e ossa visibili a occhio nudo. J aveva la bocca spalancata ma non emetteva alcun suono, H si reggeva a malapena sulla soglia. Uno degli agenti accorsi svenne alla vista delle macabre spoglie non appena entrò nella stanza.

Fui l’ultimo a deporre testimonianza nell’ufficio del capitano. Confermai le versioni di H e J aggiungendo ulteriori dettagli che avrebbero potuto facilitare le indagini. Ritrovai i miei amici nella sala d’attesa del distretto. J sedeva con la testa tra le mani, H tirava su col naso. 
Due giorni dopo il presidente e i soci del circolo tennero nella sala delle riunioni una piccola cerimonia in onore di W, i cui resti erano stati conservati nell’obitorio locale in attesa di sepoltura.
«Signor F?»
Un brivido mi corse lungo la schiena.
Era il capitano.
«Le mie sentite condoglianze a tutti voi. Posso parlarle?»

Ci recammo fuori in giardino, minacciava di piovere.
Il capitano mi mostrò un ritratto a carboncino.
«Questa è la ragazza che avete descritto l’altro giorno, dico bene?»
Annuii con terrore.
«Ha detto di chiamarsi… Miss L, giusto?»
«G-giusto.»
Conservò l’immagine in una tasca e mi scrutò in maniera grave.
«Lei è un insegnante di scienze e matematica.»
«Esatto.»
«E i suoi amici si occupano di finanze.»
«H è un banchiere, J un’assicuratore.»
Si grattò la punta del mento in cerca delle parole giuste.
«Fossi in voi cambierei aria. Un trasferimento presso la sede più lontana. Mi segue?»
Scossi la testa.
«Temo corriate un serio pericolo. La signora conosce i vostri nomi, sa che abitate qui e…»
«Cosa sta cercando di dire, capitano?»
«Voglio dire, signor F, che abbiamo a che fare con qualcosa di… irrazionale.»
Un nuovo brivido cominciò a salirmi lungo la schiena, accompagnato da un grumo di saliva al centro della gola.
«Il signor W non è stato che l’ultimo pasto di…»
«Ultimo pasto? Ultimo pasto!»
Scoppiai a ridergli in faccia, mentre H e J ci osservavano dalla vetrata della sala riunioni.

Sono trascorsi cinque anni, centinaia di miglia mi separano dalla città. H è riuscito a ottenere il trasferimento sei mesi dopo la mia partenza, J è rimasto.
Vivo in una pensione poco distante dal villaggio dove insegno il moto dei pianeti e le nozioni algebriche ai miei giovani allievi. Le giornate trascorrono in placida monotonia, ogni tanto rimpiango gli svaghi offerti dal circolo, ma così ha voluto il destino.
Giro armato senza darlo a vedere. Da un paio di bretelle ho ricavato una doppia fondina, le pistole sono sempre cariche e pronte all’uso. Mi alleno nella brughiera con bottiglie vuote e boccali scheggiati, allineati su un muro di tufo. Nessuno può sentire gli spari. Gli abitanti sono persone umili e riservate. Meglio così. Lascio dormire loro sonni tranquilli in attesa di regolare i conti.

3 commenti su “Apprensione”

  1. Bellissima l’atmosfera, alta la tensione, il racconto mantiene la promessa del titolo, sono stata in apprensione per tutta la lettura. Bravo, molto bello.
    p.s. molto bella l’illustrazione

    1. L’illustrazione è un ritratto di Miranda — la figlia di Prospero nell’opera teatrale «La tempesta» di Shakespeare — tratto dal volume «The heroines of Shakespeare». Ci sembrava perfetta come Miss L.

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