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La Domenica della Gargolla #15

Pagine di vecchie riviste ammuffite e libri fuori edizione ormai smembrati si affastellano lungo i canali di gronda e poi, casualmente, fluiscono pigri dentro le gargolle che sussurrano quello che espellono. Di solito lo fanno di domenica, il giorno delle pulizie. «La Domenica della Gargolla» è una rubrica dedicata a fatti strani.

Vedemmo una scena assai tragica nella medesima isola [Mykonos], che riguardava uno di quei morti i quali, a quanto si crede, ritornano dopo la sepoltura. Il protagonista di questa storia era un contadino di Mykonos dal pessimo carattere, un attaccabrighe (è una circostanza ricorrente, quando si va a trattare di simili soggetti). Fu ucciso in campagna, non si sa da chi né come. Due giorni dopo che era stato sepolto in una cappella della città, cominciò a spargersi la voce che la notte lo si vedeva girare in lungo e in largo, e che entrava nelle case rovesciando i mobili, spengendo le lampade, abbracciando le persone da dietro e facendo mille bricconate […] Si fecero dire delle messe; eppure, il contadino continuava le sue malefatte senza correggersi. Dopo varie assemblee dei maggiorenti della città, dei sacerdoti e dei religiosi, si decise che bisognava aspettare nove giorni dopo la sepoltura, per seguire non so che antico cerimoniale. Il decimo giorno si celebrò una messa nella cappella dov’era il corpo, per cacciare il demone che si credeva esservi rinchiuso. Il cadavere fu esumato dopo la messa, e si decise che bisognava strappargli il cuore. Il macellaio della città, molto in là con gli anni e piuttosto maldestro, tanto per cominciare gli aprì il ventre al posto del petto; rimestò a lungo tra le viscere senza trovare quel che cercava; infine qualcuno gli disse che doveva bucare il diaframma. Il cuore fu tirato fuori con grande scalpore dei presenti. Il cadavere, frattanto, emanava un fetore tale che si dovette bruciare dell’incenso; il fumo, però, si mescolò con le esalazioni della carogna, aumentando il puzzo e dando alla testa di quella povera gente. La loro immaginazione, colpita dallo spettacolo, si riempì di visioni. Si cominciò a dire che dal corpo usciva un fumo denso: noi non osavamo dire che si trattava semplicemente dell’incenso. Nella cappella e nella piazza antistante tutti gridavano al vroucolacas: è il nome che danno a questi presunti revenants. Questa voce si diffuse per le strade come un’ondata fragorosa, e sembrava che il tetto della cappella non dovesse reggere alle grida. Molti degli astanti assicurarono che il sangue di quello sventurato era rosso vivo; il macellaio giurava che il corpo era ancora caldo. Si giunse pertanto alla conclusione che il morto fosse colpevole di non essere morto del tutto, o per meglio dire di essersi lasciato rianimare dal diavolo – perché così la pensano riguardo al vroucolacas. Questo nome riecheggiava in maniera assordante. A quel punto si fecero avanti diverse persone, pronte ad assicurare con decisione che si erano accorte benissimo, quando il corpo era stato trasferito dalla campagna alla chiesa per seppellirlo, che non era divenuto rigido: era la prova che si trattava di un vero vroucolacas. Non si faceva che ripeterlo. Secondo me, se non fossimo stati presenti, sarebbero arrivati a dire che il cadavere non puzzava nemmeno, da tanto che questi sciagurati avevano perso la testa ed erano convinti del ritorno dei morti. Posso dire che noi ci eravamo posizionati molto vicini al cadavere, per osservare con precisione tutto quanto accadeva, e che per poco non morimmo dal fetore che emanava. Ci chiesero che cosa pensassimo di quel morto; rispondemmo che ci sembrava decisamente morto (très bien mort); e siccome volevamo correggere, o perlomeno cercare di placare la loro immaginazione esasperata, aggiungemmo che non era per nulla straordinario, che il macellaio avesse percepito qualche calore frugando tra le viscere in putrefazione; non era straordinario nemmeno che ne fossero usciti dei vapori, così come escono da un letamaio (fumier) che viene smosso; e quel presunto «sangue rosso vivo» che imbrattava le mani del macellaio era solamente una fetida melma. Dopo tutti questi ragionamenti, decisero di andare alla spiaggia a bruciare il cuore del morto. Nonostante questa esecuzione, però, questo si rivelò più riottoso e problematico di prima: lo si accusò di picchiare le persone durante la notte, di sfondare porte e persino terrazze, di rompere le finestre, di strappare i vestiti, di vuotare brocche e bottiglie. Era davvero un morto molto arrabbiato: risparmiò soltanto, penso, la casa del console francese presso il quale alloggiavamo. Non ho mai visto una situazione più penosa di quella in cui, in quel periodo, versava l’isola di Mykonos: tutti sembravano impazziti, e anche le persone più intelligenti non si distinguevano dagli altri; si trattava di una vera e propria malattia del cervello, ai livelli della pazzia e della rabbia. C’erano famiglie intere che abbandonavano le proprie case e si accampavano nella piazza della città per dormirvi tutti insieme. Tutti si lamentavano di qualche nuovo insulto subìto dal morto; quando arrivava la notte si udivano solo gemiti e pianti; le persone di buon senso si ritiravano in campagna. Dal momento che tutti erano convinti di quanto stava accadendo, decidemmo di non dire nulla: saremmo sembrati non solo ridicoli, ma anche miscredenti. Come avremmo potuto far rinsavire un’intera popolazione? […]. I cittadini più preoccupati del bene pubblico erano convinti che nella cerimonia fosse stato commesso un errore madornale. Secondo loro, la messa doveva essere celebrata solo dopo che a quello sciagurato fosse stato estirpato il cuore: in questa maniera il diavolo sarebbe stato colto sul fatto e cacciato per sempre; invece si era voluto iniziare proprio con la messa, e così si era dato al demonio il tempo di allontanarsi e di tornare successivamente con tutto comodo. Nonostante tutti questi ragionamenti, ci si ritrovava al punto di partenza: furono fatte assemblee mattina e sera, discussioni, processioni per tre giorni e tre notti consecutivi; obbligarono i sacerdoti a digiunare, e li si vedeva correre qua e là per le case con l’aspersorio in mano, a spruzzare acqua benedetta, utilizzata anche per lavare le porte; ne riempirono anche la bocca di quel povero vroucolacas. Noi continuavamo a dire ai magistrati che, di fronte a simili circostanze, nel resto del mondo civile si sarebbe fatto la guardia durante la notte, per capire cosa succedeva in città; alla fine ci dettero retta e arrestarono alcuni vagabondi, sicuramente implicati in tutti questi disordini; però non ne risultarono i principali autori, o comunque furono rilasciati troppo presto, perché due giorni dopo, per rifarsi del digiuno che avevano subìto in prigione, ricominciarono a vuotare le brocche di vino di coloro che erano così sciocchi da abbandonare le case durante la notte. Si dovette dunque tornare alle preghiere. Una volta, in particolare, si recitavano alcune orazioni dopo aver piantato un numero spropositato di spade nude sulla fossa del morto, che veniva esumato tre o quattro volte al giorno, seguendo il capriccio del primo venuto. Ecco che un albanese, per caso a Mykonos, pensò bene di dire con tono saccente che era da pazzi servirsi di spade cristiane in simili circostanze. «Non vi rendete conto, poveri ciechi – andava dicendo –, che l’elsa di queste spade è a forma di croce, e dunque impedisce al diavolo di uscire dal cadavere? Dovete usare delle scimitarre turche!». Il consiglio di questo sapientone non servì a niente: il vroucolacas non si era minimamente ammansito, e tutti erano nella disperazione più nera. Non si sapeva più a che santo votarsi, quand’ecco che a un tratto, come se ci si fosse messi d’accordo, in tutta la città si cominciò a gridare che si era aspettato anche troppo, che bisognava bruciare il vroucolacas tutto intero: dopo, sfidavano il diavolo a tornarci! Era meglio ricorrere a questo estremo rimedio, piuttosto che rendere l’isola un luogo disabitato. In effetti, c’erano già famiglie intere che facevano i bagagli nell’intento di trasferirsi a Sira o a Tino. Dunque, per ordine dei magistrati, si portò il vroucolacas all’estremità dell’isola di San Giorgio, dov’era stata approntata una grande pira intrisa di catrame, nel timore che il legno non bruciasse abbastanza. I resti di quello sfortunato cadavere furono gettati sul rogo, e andarono distrutti in un attimo: era il primo gennaio del 1701.

Riportato in: Tommaso Braccini, Prima di Dracula, Il Mulino, Bologna, 2011.

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