
«Perché mi hai portato qui?»
La voce è acuta, come quella della Cosa Piccola. Mi passo la lingua sulle labbra, spaccate in più punti.
«Se te lo dico mi devi promettere che manterrai il segreto.»
Questa volta è la Cosa Piccola a parlare. Quando riconosco la sua voce mi scuote un brivido. Spero che mi abbia portato qualcosa da bere, come la volta scorsa. Al ricordo la gola si contrae in uno spasmo e schiocco la lingua. Non riesco a capire quanto tempo sia passato dall’ultimo sorso, ma le mie energie sono al limite.
«Va bene, te lo prometto.»
«Seguimi», dice la Cosa Piccola.
Sento il rumore dei loro passi che si fa sempre più forte. Mi muovo a fatica e riesco a trascinarmi contro l’angolo della parete di pietra. La mia sete è un tormento instancabile che mi strazia le viscere.
La porta si apre con un tonfo e la luce della lanterna rischiara l’oscurità in cui sono immersa da giorni, forse settimane. Basta quel debole bagliore ad accecarmi e mi copro istintivamente il volto con la mano. Quando entrano, il rombare del loro sangue mi riempie immediatamente le orecchie.
«Ma sei impazzita? È una di loro!»
Nonostante l’Altra Cosa abbia gridato, sento a stento le sue parole: il richiamo assordante di quelle vene pulsanti copre ogni cosa. Scopro i denti e sibilo nella loro direzione, ma sono impotente. In queste condizioni non posso fare nulla, non ho abbastanza energie per attaccarli e nemmeno per difendermi: sono alla loro mercé.
«No!», grida la Cosa Piccola mentre si muove verso di me. «È innocua!»
Sento l’odore bruciante della catenina d’argento benedetto che porta sempre al collo riempirmi le narici.
La Cosa Piccola si china su di me e mi accarezza i capelli. Avverto il suo fiato sul viso e riesco a socchiudere gli occhi quel tanto che basta a catturare uno scorcio del suo volto: guance piene, occhi chiari, capelli che brillano alla luce danzante della lanterna.
«Va tutto bene», ripete mentre continua a passarmi le dita tra i capelli annodati. Il rumore del suo cuore giovane è una tortura insopportabile per la mia sete, ma l’argento mi impedisce di toccarla. «Tieni», sussurra spingendomi qualcosa di caldo tra le dita.
L’animale è piccolo. Guaisce e cerca di sfuggirmi, ma la mia presa riesce a essere ancora abbastanza salda da non lasciar scappare una preda così debole. Sento le fauci aprirsi, sbocciare in un fiore di denti e saliva, e affondo i canini nella carne della bestia. Avverto un piacere quasi lascivo mentre sento il sangue scendermi per la gola. Ha un retrogusto amaro, ma non importa: ho bisogno di riempirmi la bocca di quel liquido viscoso. Sento un’eco della mia forza tornare a scorrere dentro di me e intanto i miei versi di piacere si mischiano a quelli di terrore e dolore del cane e alle voci concitate della Cosa Piccola e del suo accompagnatore.
«Che significa tutto questo? Perché non è stata bruciata insieme agli altri? Perché la nutri?»
«L’ho nascosta io…»
«Cosa stai dicendo?»
«… ma è difficile. Ha sempre sete e io non riesco a procurarle delle prede abbastanza grandi. Ho bisogno del tuo aiuto, altrimenti perderà anche questo poco di energia che ha. Non posso perderla.»
«Sei fuori di testa», sbotta. «C’è la pena capitale, per questo! Se Padre John sapesse cosa hai fatto, finiresti sul rogo.»
«Lo so. Ma non ho avuto scelta.»
In pochi secondi l’animale è completamente prosciugato. Getto via la sua carcassa e mi passo le mani sul mento, raccogliendo ogni goccia di quel nettare prezioso. Sento l’energia del sangue tornare a vibrare nelle mie membra, come ogni volta che riesco a nutrirmi. I pensieri si fanno più limpidi e lineari.
Riesco ad aprire completamente gli occhi e a guardare verso i due intrusi.
«Lei è mia madre. Quando ho visto i primi segni del Contagio l’ho portata qui. Non potevo lasciare che la uccidessero.»
La Cosa Piccola mi dà le spalle. La lanterna illumina bene il viso di chi l’ha accompagnata: capelli neri e ricci, abiti lisi, poca carne sulle ossa.
«Non ha mai sviluppato i poteri degli altri. Non ha sintomi.»
L’Altra Cosa la guarda come se non ci fosse altro al mondo, gli occhi scuri spalancati e la bocca socchiusa.
È distratto.
Per questo non mi vede mentre mi alzo in piedi e in un solo balzo sono su di lui.
In un attimo gli apro la carne e affondo il viso nella sua gola. La sento pulsare sotto la mia lingua mentre la Cosa Piccola strilla e cerca di staccarmi da lui. Ma il suo sangue è caldo e dolce, un’ambrosia che mi riempie di piacere e colma di forza le mie braccia. Riesco a oppormi alla presa debole della Cosa Piccola, sento finalmente la mia energia potente; il miele umano mi rinvigorisce come il sangue delle bestie non ha mai fatto. La spingo lontano da me facendola urtare contro la parete di pietra.
«Madre! Ti prego!»
Mi ha stufata.
Abbandono a malincuore la mia preda e mi volto nella sua direzione. Mi guarda con gli occhi spalancati e pieni di lacrime, debole come un cucciolo. Vedo la catenina brillare sul pavimento, lontano dal suo petto: deve essersi spezzata.
Il sangue dell’Altra Cosa mi ha fatto recuperare le forze, sono piena della sua energia e padrona di un potere nuovo. Scatto verso di lei e le stringo il collo sottile tra le dita. Sento il rumore delle sue ossa che si spezzano sotto la mia presa e la lascio andare; il suo corpo adesso sembra quello di una bambola di pezza. Spinta dall’energia del sangue, del miele umano che mi è stato tanto a lungo negato, animata dall’euforia della mia sete sopita, e mi chino sulla sua gola.